Come si diventa un ricercatore in neuroscienze cognitive
Intervista a Mariano D'Angelo
QUALI SONO LE 3 ATTIVITÀ PIÙ IMPORTANTI CHE FAI NEL TUO LAVORO?
Mi occupo di ricerca nel campo delle neuroscienze cognitive. Il processo che porta alla realizzazione di un progetto di ricerca è spesso lungo e coinvolge numerosi passaggi, e, se si è fortunati, può anche coinvolgere un lavoro di equipe. Fondamentale è la formulazione di un’ipotesi di ricerca che sia nuova e che aggiunga un pezzo di informazione in più a quello che già si conosce. Non è necessario che l’ipotesi sia sempre geniale o rivoluzionaria. Certo, tanto meglio se si ha una idea che riesca a spiegare brillantemente molti fenomeni fino a questo momento senza una chiara spiegazione o che, magari, offra un principio esplicativo migliore di quello attuale. Ma è anche sufficiente avere ipotesi esplicative che aggiungono piccoli tasselli a quello che già si conosce, oppure ipotesi che mostrano nuovi modi per dimostrare più chiaramente ed efficacemente una teoria già esistente. Successivamente, occorre verificare l’ipotesi attraverso un esperimento. Questa è una fase molto delicata che a volte rischia anche di essere tautologica: bisogna tradurre la nostra ipotesi, fino ad ora astratta e teorica in un esperimento. Infine, con metodi statistici, bisogna analizzare i dati che raccogliamo dall’esperimento per vedere se combaciano, o meno, con la nostra ipotesi.
CHE STRUMENTI UTILIZZI?
Gli strumenti della ricerca neuroscientifica sono molteplici. Ci sono esperimenti che coinvolgono semplicemente un partecipante e un computer sui cui gira un compito che il partecipante deve svolgere. Ma ci sono anche esperimenti in cui si registra l’attività cerebrale associata al compito o, addirittura, esperimenti in cui si cerca di modulare l’attività cerebrale e, conseguentemente, il comportamento. Sono molto le tecniche con cui poter registrare l’attività cerebrale: dalle famose “neuroimmagini”, come la fMRI, all’EEG che misura l’attività elettrica associata alla attività cerebrale. Infine, come ho accennato prima, ci sono anche tecniche di stimolazione cerebrale, come la TMS o la tDCS, con cui si cerca di modulare l’attività di alcune aree corticali.
COME SI DIVENTA UN “RICERCATORE IN NEUROSCIENZE COGNITIVE" COME TE?
Mi sono laureato in Neuroscienze e riabilitazione neuro-psicologica presso il dipartimento di Psicologia dell’università di Bologna. Durante la mia tesi magistrale condotta in un centro di Neuroscienze a Lione, mi sono avvicinato molto al mondo della ricerca e pertanto ho conseguito un dottorato in Neuroscienze cognitive tra l’università di bologna e la Birkbeck University of London. Al momento sto conducendo un post-doc presso il Karolinska Institute a Stoccolma.
IL TUO MOTTO?
Non dico che devi “conoscere te stesso”, ma almeno non perderti di vista.
Mi occupo di ricerca nel campo delle neuroscienze cognitive. Il processo che porta alla realizzazione di un progetto di ricerca è spesso lungo e coinvolge numerosi passaggi, e, se si è fortunati, può anche coinvolgere un lavoro di equipe. Fondamentale è la formulazione di un’ipotesi di ricerca che sia nuova e che aggiunga un pezzo di informazione in più a quello che già si conosce. Non è necessario che l’ipotesi sia sempre geniale o rivoluzionaria. Certo, tanto meglio se si ha una idea che riesca a spiegare brillantemente molti fenomeni fino a questo momento senza una chiara spiegazione o che, magari, offra un principio esplicativo migliore di quello attuale. Ma è anche sufficiente avere ipotesi esplicative che aggiungono piccoli tasselli a quello che già si conosce, oppure ipotesi che mostrano nuovi modi per dimostrare più chiaramente ed efficacemente una teoria già esistente. Successivamente, occorre verificare l’ipotesi attraverso un esperimento. Questa è una fase molto delicata che a volte rischia anche di essere tautologica: bisogna tradurre la nostra ipotesi, fino ad ora astratta e teorica in un esperimento. Infine, con metodi statistici, bisogna analizzare i dati che raccogliamo dall’esperimento per vedere se combaciano, o meno, con la nostra ipotesi.
CHE STRUMENTI UTILIZZI?
Gli strumenti della ricerca neuroscientifica sono molteplici. Ci sono esperimenti che coinvolgono semplicemente un partecipante e un computer sui cui gira un compito che il partecipante deve svolgere. Ma ci sono anche esperimenti in cui si registra l’attività cerebrale associata al compito o, addirittura, esperimenti in cui si cerca di modulare l’attività cerebrale e, conseguentemente, il comportamento. Sono molto le tecniche con cui poter registrare l’attività cerebrale: dalle famose “neuroimmagini”, come la fMRI, all’EEG che misura l’attività elettrica associata alla attività cerebrale. Infine, come ho accennato prima, ci sono anche tecniche di stimolazione cerebrale, come la TMS o la tDCS, con cui si cerca di modulare l’attività di alcune aree corticali.
COME SI DIVENTA UN “RICERCATORE IN NEUROSCIENZE COGNITIVE" COME TE?
Mi sono laureato in Neuroscienze e riabilitazione neuro-psicologica presso il dipartimento di Psicologia dell’università di Bologna. Durante la mia tesi magistrale condotta in un centro di Neuroscienze a Lione, mi sono avvicinato molto al mondo della ricerca e pertanto ho conseguito un dottorato in Neuroscienze cognitive tra l’università di bologna e la Birkbeck University of London. Al momento sto conducendo un post-doc presso il Karolinska Institute a Stoccolma.
IL TUO MOTTO?
Non dico che devi “conoscere te stesso”, ma almeno non perderti di vista.